mercoledì 17 giugno 2009

Osiamo cambiare, cerchiamo nuove strade!


Prima di mangiare un "semplice" panino al salame sarebbe saggio prendere in considerazione ciò che la FAO (Organizzazione per l'Agricoltura e l'Alimentazione dell'Onu), il World Watch Institute, l'Ipcc dell'Onu, il Ministero dell'Ambiente tedesco e l'Istituto per gli studi Ambientali della Libera Università di Amsterdam affermano riguardo alle più aggiornate informazioni scientifiche sui cambiamenti climatici e il loro legame con l'allevamento intensivo di animali: questo tipo di allevamento causa il 18% dell'effetto serra totale, una percentuale maggiore di quella dell'intero settore dei trasporti pubblici e privati (13,5%).

L'interessante testo, profondo e dettagliato, che vi proponiamo di seguito è tratto dal blog di Jose Saramago (scrittore, poeta e critico letterario nato in Portogallo nel 1922, Premio Nobel per la Letteratura nel ’98), "O Caderno de Saramago" - http://caderno.josesaramago.org.
Grazie a Massimo Lafronza per la traduzione.
Buona lettura.
(^__^)

"Quando le pandemie sono figlie del business (e della nostra ignoranza e/o indulgenza)" di Jose Saramago:

"Non conosco niente sull' argomento e l'esperienza diretta di aver convissuto durante l' infanzia con i maiali non mi serve a niente. Quella era più che altro una famiglia ibrida di umani e animali. Ma leggo con attenzione i giornali, ascolto e vedo i reportage della radio e della televisione, e alcune provvidenziali letture mi hanno aiutato a capire meglio i particolari delle cause all' origine dell'annunciata pandemia, forse potrei trascrivere qui alcuni dati che aiutino a loro volta il lettore. Già da parecchio tempo gli specialisti in virologia sono convinti che il sistema di agricoltura intensiva della Cina meridionale sia stato il principale vettore della mutazione influenzale: sia della sua "deriva" stagionale sia dell' episodica "trasformazione" del genoma virale.

Ormai già sei anni fa, la rivista Science ha pubblicato un importante articolo in cui mostrava che, dopo anni di stabilità, il virus della febbre suina dell' America del Nord aveva intrapreso un salto evolutivo vertiginoso. L' industrializzazione degli allevamenti, da parte di grandi imprese, ha rotto quello che fino ad allora era stato il monopolio naturale della Cina sull' evoluzione dell' influenza.
Negli ultimi decenni, il settore degli allevamenti si è trasformato in qualcosa che assomiglia più a quello petrolchimico che all' idea bucolica della fattoria a conduzione familiare che nei libri di scuola descrivono con compiacenza...


Nel 1966, per esempio, negli Stati Uniti c'erano 53 milioni di suini distribuiti in un milione di fattorie. Attualmente 65 milioni di maiali sono concentrati in 65.000 strutture.

Questo significa passare dagli antichi porcili ai ciclopici inferni fecali di oggi, nei quali, tra lo sterco e sotto un calore soffocante, pronti a scambiarsi agenti patogeni alla velocità della luce, si ammassano decine di milioni di animali con sistemi immunitari molto più che deboli. Sicuramente non sarà l' unica causa ma non potrà essere ignorata.
L'anno scorso, una commissione convocata dal Pew Research Center ha pubblicato una informativa sulla "produzione animale in allevamenti industriali, in cui si poneva in risalto il grave pericolo che il circolare continuo di virus, caratteristico delle greggi o mandrie enormi, aumentasse la possibilità di apparizione di nuovi virus in seguito a processi di mutazione o di ricombinazione che avrebbero potuto generare virus più efficaci nella trasmissione tra umani".

La commissione metteva anche in guardia sull'uso indiscriminato di antibiotici negli allevamenti suini - più economico che in ambienti umani - che stava favorendo l' aumento di infezioni da stafilococco, allo stesso tempo in cui gli scarichi liquidi residuali generavano episodi di escherichia coli e di pfiesteria (il protozoo che ha ucciso migliaia di pesci negli estuari della Carolina del Nord e che ha contagiato decine di pescatori). Qualsiasi miglioria nell' ecologia di questo nuovo agente patogeno dovrebbe far fronte al mostruoso potere delle grandi corporazioni aviarie e d' allevamento, come Smithfield Farms (suino e manzo) e Tyson (pollame).

La commissione ha riferito di un ostruzionismo sistematico messo in atto dalle grandi imprese, comprensivo di aperte minacce di bloccare i finanziamenti ai ricercatori che collaborassero con la commissione. Si tratta di un' industria molto globalizzata e con influenze politiche. Così come il colosso della carne di pollo di Bangkok, Charoen Pokphand, fu capace di mettere a tacere le indagini sul suo ruolo nella diffusione dell' influenza aviaria nel sud-est asiatico, è probabile che l' epidemiologia forense del focolaio di influenza suina sbatta la testa contro il muro di gomma dell' industria della carne di maiale.

Questo non significa che non si riuscirà mai a puntare il dito contro qualcuno: sulla stampa messicana si mormora già di un epicentro nei pressi di un'enorme filiale della Smithfield nello stato di Veracruz.
Ma ciò che conta è il bosco, non i singoli alberi: il fallimento della strategia pandemica dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), l'ulteriore declino della sanità pubblica mondiale, la morsa applicata dalle grandi multinazionali farmaceutiche sui medicinali salvavita e la catastrofe planetaria rappresentata dalla produzione di allevamenti industriali ecologicamente irresponsabili. Ne risulta che i contagi sono molto più complicati rispetto all' entrata di un virus presumibilmente mortale nei polmoni di un cittadino incastrato nella tela degli interessi materiali e della mancanza di scrupoli delle grandi imprese.


Tutto contagia tutto. La prima morte, tanto tempo fa, è stata quella dell' onestà. Ma si potrà mai chiedere, veramente, onestà a una multinazionale?
"


(^__^)

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